La ventilazione non invasiva è un’arma potente: come tutte le armi potenti può essere utile, ma può fare anche malissimo. Può migliorare o peggiorare l’outcome dei pazienti in relazione alla nostra capacità di utilizzarla correttamente. Per fare ventilazione noninvasiva in maniera efficace bisogna conoscerne molto bene limiti e potenzialità ed avere delle solide basi di ventilazione meccanica.
Nelle nostre Terapie Intensive estubiamo i pazienti che superano con successo il processo di svezzamento dalla ventilazione meccanica. Una parte di questi pazienti però, una volta rimosso il tubo tracheale, va incontro ad una una insufficienza respiratoria nei primi giorni successivi all’estubazione, a volte così grave da richiedere una nuova intubazione.
La ventilazione non invasiva effettuata subito dopo l’estubazione anche nei pazienti senza segni di insufficienza respiratoria può prevenire il rischio di reintubazione? E può ridurre la mortalità ospedaliera?
Negli ultimi anni almeno 5 studi clinici (4 trial clinici randomizzati ed uno before-after) hanno confrontato, nei pazienti estubati con successo, l’utilizzo profilattico della ventilazione non invasiva per prevenire l’insufficienza respiratoria post-estubazione (=ventilazione noninvasiva a tutti di routine) rispetto alla ossigenoterapia (vedi bibliografia). Una lettura critica di questi studi potrà aiutarci a trovare la miglior risposta possibile alle nostre domande.
Quali pazienti sono stati studiati? Quasi tutti gli studi hanno arruolato pazienti ventilati da oltre 48-72 ore e con fattori di rischio di fallimento dell’estubazione: anziani (> 65 anni), ipercapnici all’estubazione (PaCO2 > 45 mmHg), con tosse debole, con scompenso cardiaco, con precedenti fallimenti di weaning, con elevata gravità complessiva, obesi (BMI > 35 kg/m2), con malattie polmonari croniche. Anche se ogni studio si concentrava su alcune di queste categorie di pazienti, possiamo trovare un denominatore comune: la fragilità . Tutti gli studi hanno ovviamente escluso gli individui con controindicazioni alla ventilazione non invasiva, tra le quali era sempre presente la mancata cooperazione da parte del paziente.
Le strategie a confronto. In tutti gli studi si confrontava il gruppo di pazienti che riceveva la ventilazione non invasiva profilattica con un gruppo di pazienti che veniva trattato di routine con la sola ossigenoterapia. In un paio di studi era previsto l’utilizzo della ventilazione non invasiva nei pazienti con ossigenoterapia in caso di insufficienza respiratoria.
Come veniva fatta la ventilazione non invasiva? Tutti gli studi hanno ventilato i pazienti con pressione di supporto, con un valore medio di supporto inspiratorio di circa 15 cmH2O, ed una PEEP mediamente di 5 cmH2O. Quindi una impostazione che privilegia la riduzione del lavoro inspiratorio del paziente con un basso livello di PEEP.
Per quanto tempo è stata fatta la ventilazione non invasiva? La ventilazione non invasiva preventiva è stata eseguita per il maggior tempo possibile nelle prime 24-48 ore dopo l’estubazione, quindi poteva essere proseguita in caso di necessità clinica.
I risultati. Solo 2 studi su 5 sono però riusciti a dimostrare una riduzione del numero dei pazienti che hanno dovuto essere reintubati nel gruppo trattato con ventilazione non invasiva: un risultato tutt’altro che chiaro ed univoco. I 4 studi con la maggior numerosità di pazienti non hanno inoltre dimostrato nessuna differenza sulla mortalità ospedaliera tra chi ha fatto ventilazione non invasiva e chi ha fatto ossigenoterapia. A mio parere, la ventilazione non invasiva profilattica diventa utile se riduce la reintubazione e, meglio ancora, la mortalità ospedaliera (le differenze nella mortalità in Terapia Intensiva o in quella a 90 giorni sono veramente poco significative, su questo argomento, se non sono coerenti con la mortalità ospedaliera: ne potremo eventualmente discutere se richiesto in qualche commento). Pertanto, a questa lettura, i risultati lasciano ampi dubbi sul fatto che la ventilazione non invasiva possa migliorare significativamente l‘outcome dei pazienti estubati.
Approfondiamo la lettura dei risultati al di là della significatività statistica ritrovata nei singoli studi (per definizione la statistica non dimostra ma offre probabilità: il nostro senso critico deve valere più del p value). Le percentuali di reintubazione nei pazienti con ventilazione non invasiva profilattica variano dal 5% al 11% nei diversi studi, mentre le percentuali di reintubazione nei pazienti con ossigenoterapia vanno da un minimo del 19% ad un massimo del 39%. Risulta evidente che in tutti gli studi sono stati intubati di meno i pazienti con ventilazione non invasiva profilattica. Mettendo insieme i pazienti dei 5 studi, si vede sono stati reintubati 26 pazienti su 263 (10%) con ventilazione non invasiva e 60 pazienti su 264 (23%) che hanno fatto ossigenoterapia. Su questi dati aggregati, sia il nostro senso critico che la statistica ci suggeriscono che la ventilazione non invasiva profilattica può ridurre il numero di pazienti reintubati rispetto alla ossigenoterapia post-estubazione (p=0.0001). Possiamo applicare lo stesso ragionamento alla mortalità ospedaliera: in tutti e 5 gli studi, il gruppo con ventilazione non invasiva profilattica ha sempre avuto una mortalità minore (tra lo 0% ed il 17%) di quello gestito con ossigenoterapia (dal 18% al 24%). I dati dei 5 studi studi messi insieme ci dicono che sono morti 33 pazienti con ventilazione non invasiva profilattica (13%) contro 58 (22%) con ossigenoterapia. Anche in questo caso, sia il buon senso che l’analisi statistica sui dati aggregati supportano l’ipotesi che la ventilazione non invasiva profilattica dopo l’estubazione possa ridurre la mortalità ospedaliera rispetto all’ossigenoterapia(p=0.006).
Come comportarsi concretamente nella pratica clinica? La revisione ragionata della letteratura finora disponibile può supportare questa sintesi delle nostre attuali conoscenze:
1) in tutti i pazienti fragili (ipercapnici, deboli, anziani, con malattie respiratorie croniche, obesi) reduci da almeno 2-3 giorni di intubazione, subito dopo l’estubazione si dovrebbe fare ventilazione non invasiva profilattica nei pazienti cooperanti. In particolare, i pazienti con ipercapnia all’estubazione (PaCO2 > 45 mmHg) sono quelli con le maggiori evidenze di beneficio;
2) la ventilazione non invasiva dovrebbe essere fatta con un supporto inspiratorio sufficiente a garantire un buon pattern respiratorio, con una PEEP attorno ai 5 cmH2O. Aumenti di PEEP sono giustificati in caso di SaO2 < 90%;
3) la ventilazione non invasiva dovrebbe essere fatta per il maggior tempo possibile per 1 o 2 giorni, quindi proseguita solo in caso di necessità clinica.
Come sempre, un sorriso a tutti gli amici di ventilab.
Bibliografia.
– Nava S et al. Noninvasive ventilation to prevent respiratory failure after extubation in high-risk patients. Crit Care Med 2005; 33:2465–70
– Ferrer M et al. Early noninvasive ventilation averts extubation failure in patients at risk. A randomized trial. Am J Respir Crit Care Med 2006; 173:164–170
– El Solh AA et al. Noninvasive ventilation for prevention of post-extubation respiratory failure in obese patients. Eur Respir J 2006; 28: 588-95
– Ferrer M et al. Non-invasive ventilation after extubation in hypercapnic patients with chronic respiratory disorders: randomised controlled trial. Lancet 2009; 374:1082-8
– Ornico SRP et al. Noninvasive ventilation immediately after extubation improves weaning outcome after acute respiratory failure: a randomized controlled trial. Critical Care 2013, 17:R39
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