Riprendiamo il caso di Maria, descritto nel post del 10 giugno. In sintesi, Maria ha 77 anni, una BPCO riacutizzata, è tracheotomizzata e sembra dipendente dalla ventilazione assistita. Ogni trial di respiro spontaneo è caratterizzato da respiro rapido e superficiale e dispnea. Tutto questo mentre le condizioni generali sembrano molto buone.
Nel post del 23 giugno abbiamo abbozzato gli elementi chiave, da un punto di vista fisiopatologico, nello svezzamento dalla ventilazione meccanica. Ecco come li abbiamo utilizzati nel caso reale di Maria. Per prima cosa abbiamo misurato il carico soglia imposto dalla PEEP intrinseca. Durante una breve fase di respiro spontaneo abbiamo occluso le vie aeree di Maria alla fine della espirazione. Nella pratica impostato una CPAP 0 cmH2O con il trigger a flusso “ipersensibile” ed abbiamo occluso le vie aeree alla fine dell’espirazione con l’apposito tasto del ventilatore meccanico. Abbiamo mantenuto l’occlusione per 3-4 tentativi di inspirazione con le valvole chiuse. Abbiamo spiegato a Maria di non preoccuparsi e di comportarsi normalmente se ogni tanto il respiro le sarebbe sembrato strano ed un po’ più difficoltoso. Quindi abbiamo salvato la curva pressione-tempo sul ventilatore meccanico e con il cursore abbiamo misurato la pressione nelle vie aeree durante l’occlusione tra i vari tentativi di inspirazione. Gli amici che hanno partecipato al Corso di Ventilazione Meccanica sanno bene come eseguire la manovra e valutare la qualità delle fasi di pseudorilasciamento. Per gli altri l’invito a partecipare al Corso o a seguire www.ventilab.org perchè probabilmente in futuro tratteremo nel dettaglio questa manovra. Abbiamo alla fine misurato una PEEP intrinseca di 3 cmH2O. Poco. Sicuramente il carico soglia non era il problema di Maria. Dovevamo capire di più.
A questo punto abbiamo posizionato un palloncino esofageo per misurare le variazioni di pressione pleurica durante la respirazione. La riduzione inspiratoria della pressione pleurica stima la somma dei carichi elastico, resistivo e soglia. Abbiamo visto che mediamente Maria riduceva la pressione esofagea di 9-10 cmH2O ad ogni inspirazione. Un valore accettabile per molti pazienti. Quindi abbiamo ipotizzato che non essendoci un problema di carico, la dipendenza dalla ventilazione fosse dovuta ad una riduzione della forza muscolare.
Abbiamo quindi misurato la riduzione della pressione esofagea chiedendo a Maria di fare il massimo sforzo inspiratorio per lei possibile mentre le occludevamo le vie aeree. Questo valore prende il nome di maximum inspiratory pressure (MIP). La MIP era 54 cmH2O. Buona. La forza di Maria sembra più che sufficiente per essere svezzata.
E allora? Allora Maria DOVEVA riuscire a respirare da sola. Abbiamo accettato quindi il suo respiro rapido e superficiale. Abbiamo approfondito il problema della dispnea, ed abbiamo scoperto (c……i a non averlo chiesto prima!!!) che lei fa sempre fatica a respirare, anche quando se ne sta tranquilla a casa propria. Quindi abbiamo tollerato anche la dispnea. In due giorni Maria era completamente libera dalla ventilazione artificiale e dopo pochi giorni è stata trasferita in un centro riabilitativo.
Dispnea e rapporto frequenza respiratoria/volume corrente: due elementi chiave della valutazione dello svezzamento ci stavano portando fuori strada. Potevamo risolvere il caso anche senza misurare la pressione esofagea? Con il senno del poi, certamente! Ma nel caso specifico ha risparmiato a noi ed alla paziente un prolungamento inutile dello svezzamento dalla ventilazione meccanica.
A mio parere, nel weaning prolungato è spesso opportuno misurare la pressione esofagea, come gli amici del corso di Ventilazione Meccanica hanno ben imparato.
Un caro saluto a tutti.
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